La Pokémon GO mania ha fatto
esplodere
in pochi giorni le transazioni virtuali via app, per
un giro d’affari stimato di 4 miliardi di dollari l’anno. Un sistema di
pagamento nato “per gioco”, lanciato in Europa il 16 luglio, che diventa caso di studio, con enormi ricavi
potenziali per Apple, Nintendo e le compagnie telefoniche. Al Salone dei Pagamenti si parlerà anche di virtual money e bitcoin …  

Di Mattia Schieppati  

Un caricatore da 20 Poké Balls,
efficacissime per catturare i combattivi mostriciattoli dal livello 12 in poi?
Costa 100 PokeCoins. Se si sceglie la fornitura da 100 palle, si ha un notevole
risparmio: il costo infatti è di “soli” 460 PokeCoins. Ne servono 80 per
acquistare un Lucky Egg, alimento pozione che dà la forza per raddoppiare
l’efficacia della propria attività di caccia, mentre per acquistare un flacone
di incenso, di cui gli animaletti vanno matti e serve per attirarli in
trappola, si può puntare sulla confezione da 8 per soli 500 PokeCoins. Il
listino prezzi è lungo e in continuo aggiornamento. E fa ben comprendere come
dietro alla mania mondiale dei Pokémon GO – il geniale combinato di app,
geolocalizzazione e realtà virtuale che ha portato nella realtà i personaggi
protagonisti di un videogioco lanciato negli anni 90 da Nintendo – stia girando
un business immenso,
forse il primo business e di massa davvero globale basato completamente su transazioni via
mobile. Un fenomeno nel fenomeno.     

2 milioni di dollari di
transazioni al giorno

L’applicazione che consente di
accedere al gioco, e che abilita il giocatore a iniziare la sua caccia ai
mostriciattoli (che un algoritmo fa comparire qui e là per il mondo, e la sfida
consiste nell’essere presenti sul luogo dell’apparizione e “catturare” il
mostro inquadrandolo con il proprio smartphone), è infatti
gratuita, ma è la porta di accesso a un geniale giro d’affari collegato appunto
a tutti gli strumenti e gli attrezzi che i giocatori possono acquistare –
sempre attraverso la app – per migliorare le proprie prestazioni nel gioco. La moneta virtuale che abilita
tutto questo commercio è appunto il PokeCoin, ha un «cambio» che oscilla da
Paese a Paese (100 PokeCoins, il taglio minimo, si acquistano per 0,99
centesimi di euro in Europa, per 1 dollaro negli Usa, per 0,79 sterline in UK)
e non è per niente un gioco: ne vengono acquistati un controvalore circa 1,6
milioni di dollari al giorno, con picchi fino a 2 milioni. Considerando che la
Pokemon GO mania è iniziata in Usa, Australia e Nuova Zelanda appena il 6 luglio, e che solo dalla scorsa settimana è sbarcata in
Europa, si può ben comprendere come questo corso parallelo di moneta potrebbe crescere in maniera esponenziale: secondo le stime di
alcuni analisti, se la tendenza continua potrebbe generare un giro d’affari da
4 miliardi di dollari l’anno, tutti circolanti nel mondo virtuale dell’app e
tutto tramite mobile.  

Se i BitCoin sono stati, fin
dalla loro origine, una realtà per addetti ai lavori, poco connessa con il
mondo reale, e altri esempi di moneta virtuale (in Italia, per esempio, il
Sardex) hanno riguardato sempre e solo piccole nicchie di mercato, passa proprio
attraverso i PokeCoins il primo grande esperimento globale di moneta virtuale
accessibile a tutti e con il più intenso livello di microscambi e transazioni
quotidiane. Un caso di studio, insomma, che rappresenta l’aspetto più
interessante per il tutto il mondo finanziario e della monetica.  

Coin virtuali, guadagni reali 
I ricavi (questi, assolutamente
reali) finiscono per il 30% nelle tasche di Apple, che vende i prodotti
addizionali attraverso il proprio store online, il 30% va a Niantec, la
software company che ha sviluppato il gioco, il 30% alla Pokémon Companyche detiene il franchise e “solo” il 10% alla Nintendo (che partecipa
però al capitale sia di Niantec che di Pokémon Company). Nintendo, però, grazie
alla diffusione dei mostriciattoli e alla caccia globale che si è scatenata, ha registrato un balzo incredibile in Borsa, incrementando
in 15 giorni il suo valore di mercato del 90%, per una capitalizzazione attuale
di ben 37 miliardi di dollari. Quanto al
futuro più o meno prossimo, si stima un aumento di fatturato fra i 150 e i
200 milioni di dollari al mese. In questa festa “c’è trippa” anche per la
solita Google, che tramite la capogruppo Alphabet
ha investito 30 miliardi di dollari nell’impresa Pokémon GO.  


Con 21 milioni di utenti attivi
al giorno su 65 milioni di app scaricate in una settimana solo negli Stati
Uniti, Pokémon GO è anche un motore di traffico da mobile da record (c’è
guadagno quindi
anche per le compagnie telefoniche: con 43 minuti
spesi di media al giorno dagli utenti a caccia di Picachu e compagni per le
strade delle città del mondo, Pokémon Go batte già WhatsApp (media giornaliera di connessione 30 minuti) e Instagram
(25 minuti).    

Terreno fertile per le truffe
In primis, perché questo esperimento che è letteralmente esploso
nelle mani dei suoi stessi creatori, si trova ora a
dover fare i conti con questioni di sicurezza probabilmente non previste, o non
previste su questa scala dimensionale. Se infatti l’acquisto di moneta virtuale
passa attraverso store assolutamente sicuri e certificati (che sia iOs o
Android, si tratta comunque di sistemi rodati), è subito scattato un
boom di un mercato parallelo di “cambi non
autorizzati”, che promettono vendite scontate
di PokeCoins dietro le quali si nascondono
truffe. Cercando online “Pokémon GO free coins generator”, è possibile
trovare numerosi link che portano alla classica “truffa con sondaggio”.
Si tratta di link molto diffusi su Internet, è possibile trovarli tanto su
forum degli appassionati di videogiochi quanto su siti dedicati alle truffe. La
maggior parte delle truffe di questo tipo è raggiungibile da post sui social
media oppure da video con la presunta prova del funzionamento di un hacking
tool per i PokeCoins.  

Il sito avvia semplicemente un video prima di chiedere di
verificare la propria identità. Questo processo di verifica richiede all’utente
di compilare un sondaggio, installare applicazioni o registrarsi a servizi in
abbonamento. I truffatori ricevono così denaro reale per la partecipazione di
ogni utente a queste iniziative, grazie a programmi di affiliazione. Secondo le
statistiche legate ai link abbreviati dei siti di questo tipo, un migliaio di
persone ha già cliccato sui link più diffusi. Altri truffatori chiedono
invece che l’utente condivida manualmente un messaggio su Twitter o Facebook
prima di ricevere PokeCoins gratuiti, coin che non arriveranno mai –
indipendentemente dal numero di post condivisi. La società di sicurezza
informatica Symantec ha scoperto centinaia di messaggi di questo tipo, con Url
differenti, postati sui social media. Come rilevato nel Symantec Internet
Security Threat Report 2016, truffe di questo tipo hanno rappresentato il 76%
delle truffe sui social media nel 2015.