È l'ultima nicchia del grande mondo Fintech. Nascono start-up specializzate nella regulation. Obiettivo: accompagnare banche e assicurazioni nella transizione al digitale. Così su reporting, risk management e data analisi, le start-up possono fare la differenza, rendendo più efficiente la compliance. Con particolare attenzione alla rivoluzione nei pagamenti ...

Di Mattia Schieppati

Per essere una nicchia, come viene definita nell’ormai ampio mondo del Fintech, quello che hanno di fronte le start-up del RegTech (crasi delle parole “regulation” e “technology”) è un impegno notevole. Provando a dare una quantificazione a grandi linee, Deloitte ha conteggiato che nel solo 2017 sono state circa 200 le modifiche normative importanti che hanno riguardato – a livello internazionale – il comparto bancario-assicurativo. Quasi una ogni giorno, sabato e domeniche escluse. In totale, dal 2008 a oggi le aziende di questi comparti hanno speso in tempo/impegno delle persone per gestire la sola parte di aderenza alla compliance normativa qualcosa come 320 miliardi di dollari. Se si considera che, complessivamente, nel 2016 gli investimenti di venture capital su start-up del comparto RegTech sono stati di 680 milioni di dollari, è evidente quanto sia ampio lo spazio di sviluppo e di crescita.

 

Con i ritmi sempre più accelerati che le nuove tecnologie stanno imponendo al settore, e con le innovazioni non ancora del tutto o per niente regolamentate che stanno ormai guidando il mercato (per restare nel mondo dei pagamenti, digital wallet, app di pagamento, transazioni peer-to-peer, ingresso di player non bancari nel settore pagamenti …), è evidente come l’aspetto delle regole, della revisione a volte anche radicale dei quadri normativi (basti pensare al dibattito in atto sul tema della PSD2, sempre in ambito payments), e la necessità per le aziende bancarie-assicurative di implementare in maniera sempre più rapida le novità rappresentino aspetti chiave non solo per la crescita del business, ma in molti casi elementi chiave rispetto alla possibilità di rimanere sul mercato. In particolare, nell’ambito di processi delicati come quelli relativi ai pagamenti e alle transazioni, che coinvolgono temi di privacy e di sicurezza nella loro massima espressione, e che sono sistemi potenzialmente “globali”, e hanno più che mai bisogno di interfacciarsi con regole e norme diverse da Paese a Paese.

Strumenti per creare valore

Come ha sottolineato la Financial Conduct Authority britannica, prima autorità pubblica a interessarsi del tema fin dal 2015, quelle sviluppate dalla start-up RegTech sono «tecnologie che potrebbero facilitare il raggiungimento di obiettivi su un piano regolamentare con maggiore efficienza e efficacia rispetto alle soluzioni esistenti». In pratica, le soluzioni RegTech hanno lo scopo di rendere più semplice per le società operanti in settori fortemente regolamentati il rispetto delle normative in vigore attraverso l’utilizzo di tecnologie abilitanti, ovvero snelle, leggere e perché no anche economiche (quanto meno, rispetto ai costi di gestione di tutta questa parte di attività svolta da “umani”). Non dei semplici tools per velocizzare la burocrazia interna, come si tende – erroneamente a pensare – ma strumenti in grado di produrre valore per l’azienda.

«Per società operanti in settori altamente regolamentati, quali tra gli altri quello bancario e finanziario, il rispetto della normativa di settore e degli adempimenti conseguenti può essere un’attività particolarmente time-consuming e quindi, onerosa in termini di risorse umane e materiali da dedicarvi», osserva Marco Bellezza dello Studio legale Portolano Cavallo, su un blog dedicato all’argomento: «Il progressivo aumento di adempimenti di natura regolamentare, unitamente alla gran quantità di dati e informazioni che è necessario processare per svolgere un’attività conformemente a quanto richiesto dalle singole normative di settore, hanno nel tempo indotto società operanti nel settore della tecnologia ad elaborare soluzioni in grado di venire incontro alle esigenze degli operatori interessati».

Quante sono e cosa fanno

Gli analisti del World Economic Forum, in un approfondimento pubblicato sul sito del Wef a fine giugno hanno messo nel mirino il tema, e hanno enfaticamente definito il RegTech «the next big ting for banking», la prossima “cosa grossa”. Un business che in prospettiva è sicuramente importante, oltre che necessario, ma che vede per ora attivo un tutto sommato ridotto manipolo di aziende (non solo startup: alcune realtà sono impegnate in questo filone fin dagli anni 90). Complessivamente, sono 153 le aziende attive in questo settore che risultano dalla mappatura più completa sul tema, quella effettuata da Deloitte a inizio 2017, la metà delle quali conta tra gli 11 e i 50 dipendenti. I settori di attività cui si rivolgono, in ordine percentuale, sono la compliance (30%), identity management & control (26%), risk management (18%), regulatory reporting (13%), transaction monitoring (13%).

Tutte realtà che sfruttano le potenzialità di tecnologie innovative che vanno dal cloud computing alla blockchain, dal machine learning al data mining alle predictive analysis. Dublino e Londra le «capitali” europee dove fiorisce il maggior numero di queste aziende, mentre Singapore e Hong Kong – oltre ovviamente agli Stati Uniti (New York e San Francisco) – sono le piazze mondiali più attive.

 

Italia, territorio vergine

«L’Italia, che sul fronte del Fintech è una fucina di proposte interessanti, per quanto riguarda lo specifico contesto del RegTech gioca un ruolo ancora marginale rispetto allo scenario complessivo di mercato. Non ha ancora messo in campo novità e imprese realmente disruptive nell’ambito della tecnologia rivolta alla regolamentazione», osserva Michele Novelli, Senior Advisor di Digital Magics. «Per quanto riguarda la gestione di processi regolamentatori abbiamo visto case history interessanti, come quella di Iubenda», dice riferendosi alla start-up italiana che opera nel settore legale, fornendo già strumenti per la generazione di privacy e cookie policy per siti web e applicazioni, «ma solo collateralmente riguarda il campo di azione delle RegTech d’ambito finanziario-assicurativo. «Si tratta di un settore molto stretto, di una nicchia estremamente specializzata, e prima ancora della difficoltà di trovare capitali per far crescere queste realtà, è difficile trovare idee vincenti da finanziare. Forse anche perché è un abito distante rispetto alla cultura e alla mentalità degli startupper italiani». Sembra una sentenza destinata a chiudere il discorso. O, forse, è uno stimolo a crederci e a provarci.